Modernizzare la finanza d'impresa per accrescere la competitività

"Modernizzare la finanza d'impresa per accrescere la competitività industriale"

Editoriale a cura di Stefano Firpo - Ex Direttore Generale per la politica industriale, la competitività e la piccola e media impresa al Ministero dello Sviluppo Economico.

Stefano_FirpoI Paesi dell'Unione europea, Italia in primis, hanno bisogno di una maggiore varietà di fonti di finanziamento in concorrenza fra loro e di una sostanziale espansione della capacità di accesso al capitale di rischio per integrare le risorse bancarie e sostenere in tal modo la mole di investimenti necessari al rilancio della competitività industriale. Nel complesso dell’Eurozona, i mercati di borsa e quelli obbligazionari rappresentano circa il 150% del PIL, a fronte del 260% di quello degli Stati Uniti. Il mercato obbligazionario è di 1,44 volte inferiore, e solo le grandi aziende vi hanno accesso malgrado lo sforzo fatto in questi ultimi anni (anche in Italia) per includere le imprese di minore dimensione e costruire una Capital Market Union in Europa.   

Nel complesso, ancora oggi almeno 2/3 della finanza di impresa proviene dal sistema bancario tradizionale, l'opposto di ciò che accade negli Stati Uniti. Questo modello ha funzionato fino a tempi recenti: un sistema ampiamente diffuso di banche locali è stato in grado di erogare prestiti sulla base della vicinanza al cliente, spesso costituito da una piccola impresa orientata a un mercato prettamente locale. Con i più stringenti requisiti patrimoniali e normativi introdotti a seguito della crisi finanziaria, e dell’aumentare dei crediti in sofferenza, nella maggior parte dei Paesi europei il credito è diventato ben più selettivo, rendendo questo modello non più praticabile e comunque non adeguato per sostenere la crescita delle aziende più innovative e ad alto rischio. 

Non si può più contare sul magazzino di rischio delle banche per finanziare la crescita. Nuovi canali vanno esplorati in un contesto internazionale peraltro connotato da un’abbondanza di capitali alla ricerca di impieghi redditizi. Sviluppare il mercato dei capitali è un elemento imprescindibile per costruire una politica industriale di successo, tanto in Italia quanto in Europa

Con uno spazio fiscale limitato nella maggior parte dei Paesi europei, retaggio della grande recessione, e un sistema bancario che ha fornito capitale di debito troppo a lungo con troppo poco controllo, è tempo soprattutto di sviluppare strumenti alternativi, potenziando il private equity, il private debt, il venture capital anche in sinergia con il sistema bancario attraverso forme di parallel lending. L’innovazione finanziaria giocherà un ruolo molto importante per sostenere gli sforzi di politica industriale in seno all’UE.              

Negli ultimi anni in Italia si è sperimentato molto sul piano normativo, sia sul fronte equity – con la prima regolamentazione internazionale sull’equity crowdfunding (2013) e con la disciplina dei piani individuali di risparmio (2016) – che del debito – ad esempio, con la liberalizzazione delle emissioni obbligazionarie da parte si società non quotata e le prime emissioni di mini-bond (2012) e il direct lending (2016). Si tratta di riforme che richiedono tempo per dispiegare il loro potenziale. Significativo il caso dell’equity crowdfunding, che dopo un avvio in sordina ha fatto segnare, nel 2018, una crescita esponenziale, con una raccolta più che doppia rispetto alla somma dei quattro anni precedenti.         

Sul piano fiscale l’azione governativa non è stata meno ambiziosa: basti pensare alla nuova tassazione sul carried interest, o agli incentivi per gli investimenti in startup e in PMI innovative (il più generoso regime fiscale in Europa per i segmenti seed- e early-stage). Sommando a tutto questo le misure introdotte nell’ambito del Piano Industria 4.0 come il credito d’imposta R&S, il Patent Box, e l’iper-ammortamento, non è un caso se l’Italia si è classificata al primo posto nel Digital Tax Index 2018, la classifica stilata annualmente da PWC Germania, ZEW e Università di Mannheim. 

Una politica industriale di successo non può prescindere da una regolamentazione finanziaria abilitante e da un quadro fiscale incentivante. Occorre rammentare che negli indici internazionali di competitività l'Italia è indietro anche a causa di una certa arretratezza del suo sistema finanziario. La diversificazione degli strumenti finanziari a disposizione delle imprese, il sostegno a strategie di impresa volte a un migliore equilibrio delle fonti di finanziamento e lo stimolo a una maggiore capacità degli investitori istituzionali di canalizzare il risparmio verso impieghi utili nel corporate Italia dovrebbero costituire la stella polare di una politica economica pro crescita.


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